Perché il Customer Service è il nuovo marketing

Solitamente tengo ben separato il mio riservatissimo blog personale da quello aziendale. Ma stavolta c’è un articolo di marketing che penso possa interessare anche a chi non si occupa di marketing, perché parla di customer care. Ovvero di assistenza al cliente. E clienti, che ci piaccia o meno, lo siamo tutti. Clienti scontenti, pure.

Siamo nel 2016.
Tutti sono convinti di avere un buon Customer Service.
Non è così.

Lo scrive a chiare lettere Jay Baer nel suo libro “Hug your haters”. Che si potrebbe tradurre come “abbraccia chi ti critica”. Perché non è il caso di scomodare l’odio per così poco… Anche se…
Solo 1 cliente che si lamenta su 3 riceve risposta. E anche quando la riceve resta deluso. Perché arriva troppo tardi.
Per capirci, se il 40% delle persone si aspettano di ricevere una risposta sui social entro 1 ora, i tempi medi di riscontro sono di 5 ore.

Eppure la Customer Experience è ciò che determina l’opinione del tuo cliente nei tuoi confronti. La sensazione, buona o cattiva, che egli prova quando sente nominare il tuo brand, la tua azienda, i tuoi prodotti.

Sfortunatamente spesso c’è una bella differenza tra quello che TU pensi del tuo marchio e quello che ne pensano i tuoi clienti:
– l’80% delle aziende credono di fornire un ottimo servizio al cliente
– ma solo l’8% dei clienti è d’accordo

A volte rispondere a una critica sui social non è facile. A volte le critiche sono feroci e maleducate, colpiscono al cuore e la tentazione di ignorarle è grande. Ma mettiti nei panni del cliente: le aziende ci mettono in media 2 giorni per rispondere a una email di complaint. Non stupisce se poi la gente si sfoga sui social network.
Sono le stesse aziende a spingere le persone a criticarle in pubblico, e difatti le lamentele sui social stanno diventando sempre più frequenti.

Inoltre, tienilo bene a mente:
Non rispondere è una risposta.
Non rispondere significa: “Non mi interessa averti come cliente”.

Ecco perché avere un Customer Service di qualità significa risparmiare, rimpiazzare un cliente costa tempo e costa denaro.
Prendi chi si lamenta per la preziosa risorsa che è. Consideralo il classico “canarino nella miniera”, quello che ti mette sul chi va là e sventa il disastro avvisandoti per tempo.

Intanto segnati queste 3 fondamentali mosse per sventare il tuo, di disastro:

1. Sii veloce nelle risposte. La velocità è un vantaggio competitivo fortissimo.

2. Non rispondere per più di 2 volte pubblicamente a un tuo cliente. Non ne può uscire nulla di buono. Resta sul pezzo, dimostra che ci tieni, ma se qualuno esagera prendi le distanze.

3. Una volta per tutte: smetti di biasimare i tuoi clienti. A dispetto di ciò che ogni azienda crede, non è colpa del cliente se è insoddisfatto: la colpa è TUA. Per cui inghiotti l’orgoglio e datti da fare per trasformare una situazione negativa in un’opportunità positiva.

Considera infine che solo il 5% dei clienti che si lamentano esce allo scoperto. Di questi:
– il 62% lo fa al telefono o via email
– il 38% sui social network o sui siti dove si valutano i prodotti.
Il dato interessante è che solo la grande maggioranza dei primi si aspetta una risposta: quelli che si lamentano di te su Facebook lo fanno per sfogarsi con gli amici e/o raccogliere solidarietà dagli altri utenti. Non si aspettano certo che andrai a rispondergli proprio lì.
Ecco perché se lo fai li conquisterai.
Ecco cosa fa un buon Customer Service.

[Tratto, rielaborato, tradotto  e approvato dal blog americano Myemma.com.
L’articolo originale di McKenzie Van Meter potete leggerlo qui]

Questo non è un post

Rileggevo il mio post su Kintera. Scrissi:

Quando si parla di arte, le opere davanti a cui il pubblico non si annoia solitamente vengono considerate incidentali o ruffiane o entrambe le cose. La leggerezza, per taluni, per i critici d’arte ad esempio, è qualcosa di cui vergognarsi, che tu ne sia l’autore o il fruitore.
Per la stessa ragione spesso la gente è malfidente rispetto a chi si diverte lavorando. Quasi pensasse che non stai lavorando sul serio, o che meriti meno soldi per non essere depresso. Come se ti pagassero per soffrire più che per lavorare.

In un libro di Maurizio Pisani che sto leggendo (si intitola “Questa non è una banana”, è un testo scorrevole e interessante) l’autore scrive:

I messaggi semplici [nel marketing] sono gli unici a funzionare. Qui però ci scontriamo con un problema prima di tutto culturale. A cominciare dai libri di studio, se qualcosa è facile da capire pensiamo che valga meno.

E’ così.
La riflessione del resto può venire estesa a tanti altri campi, che so, a quello della politica, del giornalismo, dell’università, della medicina: meno ti fai capire dalle persone, più queste ti concederanno fiducia.
Non a caso il mondo del marketing è pieno di venditori di fumo che campano proprio su quel tipo di clientela che tende a stimare chi non riesce a comprendere.
(Non mi avete capita, vero? Bene.)

Arte chiama Food, rispondi Food

C’è un filo neanche troppo sottile che lega il cibo all’arte. Il loro legame è antico, quasi ancestrale, parte dalle caverne e arriva all’iperrealismo dei giorni nostri, tele su cui il cibo è riprodotto con tale precisione da sembrare una foto. In mezzo c’è di tutto: le nature morte barocche e la Eat Art di Spoerri, Beuys, César e Arman, l’arte del Sampuru (le riproduzioni in plastica di sushi e sashimi) e i piatti-quadro di El Bulli.

Thomas C. Chung, I ate & ate

Thomas C. Chung, I ate & ate (2015)

Al Set Up Art Fair conclusasi ieri a Bologna alcune delle opere più fresche e originali riproducevano proprio del cibo: quelle che mescolano packaging e lego firmate da Zino, o le pizze all’uncinetto di Thomas C. Chung. Nel caso di Zino i packaging sono reali: le patatine San Carlo e le Juicy Fuit di Wrigley’s.

Zino, Juicy Fruit (2015)

Zino, Juicy Fruit (2015)

A una prima ricerca in rete vedo che né San Carlo, né la Wrigley’s sanno di essere stati presi a modello da un’opera appena esposta in un’importante fiera d’arte europea. Peccato, perché questo sì che è un signor Product Placement, peraltro gratuito (e quando vi ricapita?).
Zino, evidentemente, non si è premurato di avvisarli e questo gli fa onore – diciamo che non ha voluto bussare alla porta dei compratori più facili.

Zino, San Carlo (2015)

Thomas C. Chung, I ate & ate (2015)

Ma se io fossi nell’italiana San Carlo mi sentirei, come dire, estremamente “dispiaciuta” a non sapere che in questi giorni si è parlato tanto, seppure indirettamente, di me. E che la confezione delle mie patatine rivisitata da un artista italiano è stata vista da migliaia di persone, fotografata, commentata e postata sui social network.
Insomma, se è vero che l’Arte parla al Food, è altrettanto vero il Food è spesso distratto.

Barbie a chi?

La Barbie made in Islam furoreggia tra le adolescenti musulmane.

Si chiama Razanne, “aiuta le bambine a costruire la propria identità religiosa, fornendo loro un modello islamico da imitare”. Ne esistono 24 versioni, tutte ben coperte dalla testa ai piedi. Tra queste: Razanne professoressa, Razanne in preghiera, Razanne esploratrice. L’ultima novità è la versione “in and out”: una Razanne bardata di tutto punto, accompagnata dal suo alter ego casalingo senza velo, a capelli sciolti, caviglie e polsi scoperti.

Per chi fosse interessato, Razanne si può acquistare anche on-line.

Aggiornamento:

L’ho appena scoperto, esiste anche il Ken versione gay. Si chiama Billy, ha un proprio sito internet (www.billyworld.com) e un indirizzo di posta elettronica. Calvin Klein, Versace, Moschino, questi alcuni degli stilisti che hanno disegnato il suo guardaroba. Son cose.

Cervelli disponibili

Il direttore della primo network televisivo privato di Francia, TF1, Patrick Le Lay, ha rilasciato oggi un’intervista in cui discetta di telespazzatura. Non si nasconde certo dietro un dito e afferma: “In linea generale, il lavoro di TF1 è aiutare Coca Cola, tanto per fare un nome, a vendere il suo prodotto. Ora, perché un messaggio pubblicitario venga percepito è necessario che il cervello del telespettatore sia disponibile. Le nostre trasmissioni hanno come obiettivo precisamente questo: divertire lo spettatore, distenderlo preparandolo a ricevere il messaggio. E’ questo ciò che noi vendiamo a Coca Cola, dei cervelli disponibili”.
Brutale, certo, ma di Le Lay bisogna ammirare la sincerità. Una sincerità che contrasta con quella di chi da queste parti cerca di giustificare la telespazzatura con false pretese intellettuali o citando a propria difesa la classica frase paraurti, la vera telespazzatura è quella che vediamo ogni giorno sui telegiornali.
Perché litigare? C’è un po’ di cervello disponibile in tutti noi.

Fonte: Librodenotas

Questa cosa del Flashmob significa non avere una cippa da fare tutto il giorno. E dimostra che anche il fancazzeggio alla lunga annoia.

Per inciso, non è carino che mentre tu stai lavorando – come una deficiente, mentre mezza Italia sta con le chiappe all’aria – ti entrino 300 persone in negozio per beccarti per il culo e ridere alla facciazza tua. Per niente carino.

La pubblicità  vuol farci credere che:

– Ci si può innamorare nel bel mezzo di un incendio che sta devastando un quartiere.

– Vieri sa cos’è l’ADSL.

– Il capo non ti dice niente se ti becca col walkman o se fai disegnini in riunione.

– Se ti metti a ballare il tango in mezzo alla strada non ti prendono per schizofrenica.

– Se non hai voglia di cucinare, tuo marito e i tuoi figli si accontentano tranquillamente di una scatoletta di carne gelatinosa. E ti ringraziano pure.

– Quando è ora di cena tutta la famiglia si riunisce e fa una danza rituale con un camaleonte.

– Le donne semplicemente adorano avere il ciclo e ti raccontano tutte contente com’è bello avere mezzo metro di cotone in mezzo alle gambe.

– Del Piero ha confidenza con gli uccelli (no, forse questa è vera…)

– Gli animali non fanno la cacca.

– Giochi a basket e sei contento di stare a perdere, tanto pensi alla tua macchina nuova. Che è una Fiat.

Special Olympics is the world’s largest program of sports training and athletic competition for children and adults with mental retardation. It offers training and competition opportunities in 26 Olympic-type sports for athletes 8 years or older. No matter what your ability level, you can benefit from it. And no matter what your interest, there is a sport for you. There is no charge to participate in Special Olympics.

Ho appena visto la pubblicità  di Special Olympics. Stupenda.
L’immagine finalmente al servizio delle idee, e non viceversa.