Piccola lezione di editoria

Non che io possa permettermi una cattedra nella materia in questione, ma qualche piccolo, utile spunto di riflessione forse sono ugualmente in grado di darvelo. Ci provo.

Allora. Immaginate di avere un blog (non dovrebbe riuscirvi difficile), e di decidere che alcune scritture presenti in rete sono così belle da volerle vedere pubblicate su carta. (Tralasciamo per un momento la questione se sia giusto o meno fare un’operazione di “ingaggio” di scrittura, non è questo l’argomento che mi preme toccare qui e oggi, portate pazienza). Dunque, immaginate di voler pubblicare unicamente libri – non singole antologie, né stralci di materiale già presente in rete – scritti da qualcuno che già scrive benissimo per i fatti suoi, su un blog. Come riterreste più sensato muovervi? Io posso dire come lavora Untitl.Ed, e ora ve lo spiego compiutamente.

Partiamo subito da un concetto chiave: Untitl.Ed, se i contatori non esistessero, non se ne accorgerebbe neppure. Ciò significa che Untitl.Ed non valuta la qualità di una scrittura in base allo scrivente e ai suoi accessi, si affida solamente al proprio fiuto e ai brividini che quella certa scrittura è in grado di far scorrere sotto pelle a chi legge.
Untitl.Ed, per la valutazione e la quantificazione dei propri rischi, non s’è fatta consigliare da qualche trendsetter di ultimissima generazione, ha chiesto  la consulenza di un azzimato commercialista, preso appuntamento con un notaio e pagato un atto fondativo in cui risulta che tre socie si impegnano a fare un’attività editoriale canonica, vera, fatta di sangue sputato e impegno tutt’altro che virtuale. Untitl.Ed ha raccolto certosinamente tutti i dati utili per la propria attività imprenditoriale come farebbe qualunque altro imprenditore: pagando per avere i documenti di cui ha bisogno per lavorare, pagando per poter avere un proprio stand a una fiera dell’editoria, pagando la stampa dei propri libri, pagando i propri autori.

Invece.

Sapete che cosa dovrebbe fare una neonata casa editrice che volesse pubblicare blogger e ricavarci – principalmente, se non unicamente – dei soldi? E’ presto detto.

Dovrebbe innanzitutto essere ben altra cosa che una Srl nata da una condivisa passione per la scrittura. Dovrebbe avere un colosso dell’editoria o della comunicazione via internet alle spalle. Dovrebbe assoldare i blogger più famosi in rete (e possibilmente anche fuori). Dovrebbe chiedere a qualcuno di raccogliere dati utili sugli eventuali competitors, senza curarsi del fair-play. Dovrebbe costringersi a credere che la serietà non sia un valore aggiunto, bensì un dettaglio poco glamorous e dunque secondario. Dovrebbe essere un po’ meno tre-donne-normali e un po’ più tre-blogstar-rampanti. Dovrebbe, insomma, essere tutt’altro che Untitl.Ed.

Così non è sempre. Per quanto ci riguarda, così non sarà mai.
Tuttavia, se c’è un modo sicuro per guadagnare sfruttando il tanto a-la-page fenomeno blog, è esattamente quello che leggete nel penultimo paragrafo di questo post, pertanto è quello che consiglio caldamente a chiunque abbia ambizioni sfrenate in tal senso. Un modo più rapido, più furbo. Un modo che, prevedibilmente, c’è chi non vede l’ora di mettere in pratica. Inutile anche augurargli buona fortuna: va sul sicuro.

39 pensieri su “Piccola lezione di editoria

  1. Però c’è da dire che ci sono vari modi di fare pubbliche relazioni, molto vari, tanto vari quanto i gradi a cui può piegarsi una schiena. Ma questo è un altro discorso. Magari ci ritornerò sopra quando avrò mangiato pesante.

  2. consolati con questo: fra un tot di anni il denaro guadagnato sarà passato di mano, senza lasciare traccia. La traccia di un buon libro che altrimenti non sarebbe stato scritto, io ho fiducia che rimanga, e che si rafforzi ogni volta che il buon libro passa di mano. Poi, certo che piacerebbe essere più bravi nelle PR. Ma di questo ne possiamo parlare. Non è impossibile. I cialtroni non possono avere il monopolio di questo, ti pare? Certo che chi non ha altro ci dedica TUTTA la sua attenzione, e sembra che questo lo metta in vantaggio. Quindi prendiamo nota: non tralasciare le PR e la pubblicità. E non dimenticare che la fuffa ha un mercato più vasto dei buoni libri, ma questo non vuol mdire che si debba vendere solo fuffa. Baci, baci, baci

  3. non lo potrei mai
    Donatore, al massimo (zero rh negativo)
    L’ho già dichiarato, son talmente d’accordo con lei che me ne insospettisco

  4. Giocatore, la mia risposta è sì. E’ ipotizzabile che l’identificazione tra impresa e imprenditore sia da intendersi come “limite” e in positivo e in negativo del progetto stesso. Noi ne abbiamo tracciato i confini, ma attenzione: la casa editrice è un organismo vivo e pulsante, risolvere tutto in linguaggio da catasto sarebbe alquanto riduttivo.

    Williamnessuno, lo so, la via più dritta è sempre quella più trafficata.

  5. “Morandi-Ruggeri-Tozzi” c’insegnarono che si può sempre “dare di più”, ma non era quel che intendevo io..(ebbene sì, sono reticente…)

  6. (ma facciamolo parlare e confessare, questo Giocatore, torturiamolo perfino – con la provocazione, dico):
    lei intende che, sul piano estetico -parliamo di scritture, nevvero – si può dare di più in termini di complessità della ricerca?

  7. Sempre premettendo che sono obiezioni, le mie, condotte per amor d’argomentazione ed affetto untitlediano, nondimeno cerco di spiegarmi meglio: trovo naturale che si rivendichi con orgoglio la prossimità, anzi l’aderenza, morale tra il progetto e voi. E questa aderenza etica è, ipso fatto, anche un’identificazione estetica. E’ proprio sul piano estetico che muovevo la mia domanda iniziale.

    E’ ipotizzabile questa identificazione come “limite” (confine) sia in positivo che in negativo del progetto stesso? (mi riservo, eventualmente, un’ulteriore livello di chiarezza del quesito…)

  8. Ahimè, Giocatore, temo di non essere precisamente una donna semplice, ma se hai rilevato l’ossimoro è inutile che aggiunga altro 🙂

    Il rischio dello specchio, comunque, credo sia presente in qualunque attività imprenditoriale. Succede come con i cani, che finiscono per assomigliare ai padroni.

    Ora, seriamente.
    Che ci sia una sorta di somiglianza morale tra il nostro progetto e noi, non solo non lo nego, ma lo ammetto con orgoglio. Che in termini economici questo possa determinare uno svantaggio (la moralità, intendo, restare fedeli alla propria linea, alla propria etica, onestà intellettuale, e ad libitum altri paroloni del genere), può essere, certo, ma è comunque troppo presto per tirare le somme.
    Sono convinta anche che l’etica, il mantenere fede alle proprie belle parole non sia un vantaggio, non paga in termini di pecunia, e in questo post lo ammetto pure.
    Ma se quando decidi di aprire un’attività di qualsiasi tipo ti fai guidare solo dal tracciante soldi o dal tracciante fama, sai che c’è? Che il risultato non te lo garantisci nemmeno così, e in più dimostri – in un colpo solo – di non essere né una persona per bene, né un bravo imprenditore.
    Per il resto, e con serenità, ad maiora.

  9. Azzardo una domanda (con preliminare professione di stima e partecipante affetto verso voi tutti untitlediani del mondo uniti…):
    non vi è il rischio che la Untitl.ed si risolva, appunto, in uno specchio troppo prossimo alle sue anime fondatrici? (intendo alle “tre-donne-semplici”, e sottolineo l’ossimoro donna/semplice)
    M.

  10. in ogni caso, veda, il post non è stato sottoposto a critica, le porte di cristallo sembrano lucidate di fresco e il martello giace inoperoso nella cassetta degli attrezzi.
    Io per primo mi sono dichiarato d’accordo, nella misura in cui è umanamente possibile farlo.

  11. Emilio,
    ho appena letto il tuo ultimo post. Premettendo che mi dispiace molto tu abbia deciso di smettere di scrivere sul blog, comprendo che debbano esserci dei motivi validi. La delusione che leggo tra le righe è stata sicuramente originata da un insieme di eventi, riflessioni a margine e altro, cose che tu sai e non dici, non spieghi al lettore, chiamiamoli fatti tuoi, o più semplicemente i dati di accesso necessari a dare la stura a quanto poi sei andato a scrivere.
    Ora, può essere che tu non sia affatto deluso, io posso aver preso un granchio nel leggerti, e non aver inteso il senso profondo del tuo post, ma non fai nomi e cognomi, non spieghi esattamente cosa sia successo, passo passo, per averti portato a maturare la decisione di non scrivere più sul tuo blog e i dati a mia disposizione per comprenderti sono molto pochi, giacché non ti conosco.
    Tuttavia, credo che il tuo post possa comunque aiutarmi a riflettere, da quanto tu scrivi io posso partire e ragionare su me stessa. se mi va, se c’è qualcosa in quel che tu scrivi e in me che mi fa sentire vicina al tuo modo di pensare. Se nel tuo post avessi messo nomi e cognomi avresti forse soddisfatto una mia pruderie, ma non con questo avresti reso la mia riflessione più forte.
    Ecco.
    Io credo che il mio post non debba soddisfare le pruderie di nessuno. Se trovi che io abbia scritto qualcosa che può darti da riflettere, bene, mi fa piacere. Se credi che la mancanza di nomi e cognomi non ti renda un buon servizio mi dispiace, ma quello che volevo dare era uno spunto di riflessione. Io credo di averlo dato, di tutto il resto francamente mi interessa poco.

  12. con mio grande rincrescimento devo registrare il fatto spiacevole che le mie ciglia non si sono allungate per niente.
    controllo le sopracciglia, magari loro sì.
    Qui si fanno dei favoritismi.
    oh!
    😉
    bri

  13. e diciamo le cose! i nomi e i cognomi. i fatti e le violenze.
    trovo, in fondo, che questo post sia di una grande ‘partecipazione’ alla dinamica del potere editoriale. Per ciò che vuole dire e non dice, per ciò che vorrebbe far intendere e non dichiara, per tutto quello che dà per scontato e conosciuto – a chi frequenta le cloache editoriali – senza attaccare, dichiarare, scoprirsi, dire quello che tutto questo post dà per conosciuto.
    un’occasione perduta.

    emilio/millepiani

  14. Ma certo che il post è criticabile, ma bisogna intendersi: “bello, ingiusto, giusto, politico”, sono giudizi e perciò sono critica.

    Conoscendo l’autrice, credo anche che il post contenga delle “verità” a cui poter applicare l’etichetta di qualche altro giudizio (dei fatti, onestamente, non sono a conoscenza).

    Ma suppongo che basti attendere, o no?

    (Ivan Roquentin)

  15. E allora inizi lei, orsù, dia il buon esempio.

    (E mi dica lei dove la trova un’atra che ci ha la porta di vetro e offre agli ospiti un martello)

  16. eppure, di critiche qui non ne vedo.
    D’altronde, l’epica di Davide contro Golia funziona da millenni, e con giusta ragione, affé mia

  17. Il post è criticabilissimo, invece, contiene semplicemente il mio punto di vista, e in quanto tale è tutto tranne che inattaccabile. Altroché porta blindata, dunque: è una porta di vetro, tra l’altro spalancata.

  18. una cosa però la segno: questo post non è criticabile.
    Scritto così, chi potrebbe infatti darle torto?
    Ma allora, se le cose stanno così, se questo è un post blindato, dove sta il rischio?
    (perché, senza rischio, quale lo scopo dello scrivere?)

  19. condivido l’intervento di demetrio.
    Il piacere di fare le cose in un certo modo, con pazienza, rigore, entusiasmo, fatica, impegno senza “rete” di salvataggio.
    Il piacere di fare perchè così si sente.
    Insomma, una cosa così e anche altro che non so ben spiegare.
    verderame/bri

  20. se posso ragionare su una cosa, anche se sinceramente, essendo parte in causa, potrei sfiorare il ridicolo, mi piacerebbe insistere sull’approccio ‘artigianale’ della untitled.

    perché è proprio su questo punto che secondo me (lungi da me entrare nel merito di altre iniziative che non consco) si vede la valenza politica dell’intervento di fain.

    Premessa necessaria: io penso che i libri si possano fare in molti modi, e tutti i modi siano condivisibili. Postilla importante: il vecchio artigiano ha in più una sua ‘moralità‘ in quello che fa.

    ed è proprio questo tratto, questo quid, di moralità, che rende il pezzo di fainberg un pezzo ‘politico’, perché rimette al centro della questione editoriale non solo i flussi, i dati di mercato, le scelte pubblicitarie, ma anche il libro e il suo autore.

    Che l’autore sia messo al centro da una casa editrice che volutamente non fa la quarta di copertina, che volutamente sposta in secondo piano il nome e il cognome dello stesso a favore del titolo dell’opera mi sembra un cortocircuito virtuoso.

    Investire sulla scrittura e non sui numeri.
    Sulla storia e non su chi la racconta.
    Essere così estremamente convinti della bontà di quello che è scritto nella pagine, da ridurre al minimo involucro esterno (che te ne fai di una copertina sgargiante se la storia narrata è potentissima da sé?). Sono queste scelte di un artigiano che se cosa vuole realizzare e non si fa ‘allodolare’ dalla pubblicità e dal marketing.

    E poi mi sembra profondamente politica l’idea di metterci dei soldi proprii, di rischiare in proprio, di spendere tempo, lavoro e forze per ‘scommettere’ su 3 sconosciuti, e poi su altri 3 e così fino alla fine.
    La definisco una opzione politica perché nasce da una visione del mondo, della cultura, che è legata ad un’idea di dono e gratuità, che mi sembra manchevole nell’editoria e nella società.

    E’ questo insieme di cose, ad esempio, che rende per me la pubblicazione del Il pasto grigio un momento ‘centrale’ del mio vissuto.

    Ora e sinceramente non so neppure perché sto scrivendo questo cumulo di righe una dietro l’altra, forse per dire sotto sotto, in mezzo a questo profluvio di parole, una parola semplice: grazie.

    d.

  21. Veramente no.
    Suvvia signor Effe, si lasci andare per una volta, si slacci la cravatta e dica, dica senza timore. Si fidi, è terapeutico, vedrà che dopo si sentirà subito meglio. Financo più bello.
    A me, per dire, dopo questo post mi si sono allungate pure le ciglia.

  22. suppongo che qui ci siano verità
    Ma non si sa mai tutto.
    Non si sa mai tutto-tutto.
    Nessuno-nessuno sa mai tutto-tutto.
    E spero con questo d’esser stato chiaro.

  23. (Ah, gh7, m’era sfuggito il tuo riferimento a fare politica in questo preciso post. In questo senso allora sì, questo è un post decisamente politico)

  24. Qualcuno che aveva tempo studiò la relazione tra desiderio e politica. L’avevo imparata anche io, ma non a memoria, così non la so più.
    Uffa perché la troppa bravura, se non è la propria, irrita quasi (e sottolineo quasi)

  25. Gh7.
    Più che politica, direi che produce desideri; e quando si entra nel campo dei desideri, viene a galla la parte più vera di una persona, quella che solitamente resta ben nascosta. Solo a questo punto si può esprimere un giudizio a tutto tondo su qualcuno, a mio modo di vedere, prima son solo cerimoniette del the.
    [Diciamo che ora stiamo per assistere alla cerimonietta della coda alla vaccinara]

    (Perché uffa?)

  26. Ogni tanto, e qui di più, la blogosfera (?!”!=$=?) produce politica. Questo è uno dei casi, quindi molto brava Fainberg – come di consueto, però, uffa.

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