Se n’è già parlato molto; sul sito di Ioepalmasco, ad esempio, è materia di discussione da sempre. Ma il tema è ghiotto e ciclicamente ritorna a farsi vivo altrove, stavolta da Herzog e da Mitì.
Il primo prende le distanze da un’artificiosità che, a suo dire, lo scrittore su carta può permettersi in virtù di un medium meno “volatile”, più adatto alla sedimentazione. Il linguaggio del blog, di contro, necessita di maggiore leggerezza, rivelandosi forzosamente più spontaneo, meno filtrato.
Mitì parla della propria esperienza con il blog sottolineandone l’impianto fintamente leggero, scorrevole, scabro, in contrapposizione (solo formale) con una scrittura cartacea ben più meditata e cesellata.
Essenzialmente trovo che esprimano lo stesso pensiero solo con stile diverso, e già questo servirebbe a dimostrare quanto non sia il contenuto a incidere sulla forma.
Segue una sequela di commenti a entrambi i post, tutti interessanti, alcuni particolarmente degni di approfondimento, ma non + questa la sede adatta.
Io ho lasciato i miei two cents da Mitì, puntando la mia attenzione soprattutto sulla genuinità dell’intento che sta dietro le differenti modalità di scrittura.
In breve, credo siam tutti d’accordo sul fatto che la lingua sia uno strumento; come tale va gestita relativamente all’uso che se ne vuole fare. Sotto questo aspetto mi pare non abbia senso fare differenziazioni tra blog, libro, discorso: tutto nasce dall’intenzione che si cela dietro le parole. Se voglio raggiungere un pubblico il più possibile vasto – e ho un cervello pensante – userò un linguaggio scarno, semplice; se invece mi rivolgo a una porzione di specialisti ne esco meglio attingendo a un vocabolario composito, parcellizzato.
Qui nei blog succede un po’ la stessa cosa: c’è chi scrive per essere letto da tutti, perché ha voglia di “darsi”, di arrivare a un pubblico il più possibile eterogeneo e chi no, per timidezza, per snobismo o per puro e semplice disinteresse dell’altro. Una discriminante da non sottovalutare è se scrivo per diletto o se lo faccio per andare all’arrembaggio.
Per quanto mi riguarda l’importante è che dietro le parole io intraveda una sincerità di fondo, un’onestà nel mostrarsi, che la scrittura mi riveli la persona e non un’interfaccia decisa a tavolino. Quello che mi interessa è che mi arrivi un messaggio forte e chiaro, non equivoco, sporco quanto si vuole, fuori, ma limpido nelle intenzioni. Che poi lo stile sia arzigogolato, lineare, barocco o neorealista quello è legato al personalissimo vissuto di chi scrive e non ci metterei bocca.